Manifesto Dello Studio
CONCETTO DI MA
ovvero come noi dello Studio MA pensiamo e viviamo la psicoterapia

Alle origini delle prime forme di psicoterapia ci si riferiva ad esse parlando di talking cure (cura parlata) ma il beneficio non arriva primariamente né unicamente dalla parola, dal fatto di riuscire a parlare di sé e delle proprie problematiche bensì attraverso il fatto che il terapeuta riesce a garantire alla persona una relazione con caratteristiche molto precise.
Queste ci ispirano nel nostro lavoro quotidiano allo Studio MA.
1. Approccio sistemico
Allo Studio MA siamo sistemici. Senza dilungarsi in tecnicismi vuol dire che crediamo fortemente che le persone, e le storie che portano possano essere comprese e accompagnate nella loro trasformazione solo alla luce delle relazioni in cui sono cresciute e in cui vivono ora. Le chiavi del nostro benessere e del nostro malessere sono inscritte nei sistemi relazionali che ci hanno cresciuti, nelle reti relazionali che contribuiscono tuttora a renderci chi siamo.
2. Irriverenza teorica
Abbiamo una cornice concettuale di riferimento (approccio sistemico) che ci ispira ma nella pratica ci lasciamo contaminare da approcci teorici, paradigmi, tecniche, orientamenti molto variegati e diversi tra di loro (psicodinamica, psicosomatica, mindfulness, cognitivismo, …). Vediamo i purismi e le ortodossie come zavorre poco utili. Crediamo che per seguire e accompagnare la complessità singolare delle persone che incontriamo occorra infinita flessibilità e tanta tanta creatività.
E la creatività è per sua natura meticcia.
3. Primato di 3 ingredienti fondamentali: ascolto empatico, curiosità e sospensione del giudizio
Verso la storia che la personaci porta, qualunque essa sia, c’è un rispetto totale, un ascolto profondo, largo, senza giudizi morali di alcun tipo, un’accoglienza totale e senza riserve. Non siamo lì nella stanza di terapia per giudicare. Siamo lì primariamente per ascoltare nel modo più pulito possibile le storie di vita che ci capita di incontrare, con delicatezza, curiosità, apertura, empatia e compassione.
Con l’obiettivo primario di creare una connessione che sia già in sé potenzialmente trasformativa.
Ogni storia è nuova, ogni persona è unica.
Viviamo ogni seduta come fosse
la prima. La curiosità e l’interesse che ci animano ogni giorno come fosse il primo puntano a rendere giustizia della straordinaria unicità di chi abbiamo di fronte.
4. Il terapeuta come compagno di cammino
Connettersi per noi vuol dire vivere e far vivere all’altro l’esperienza del “CON”, dell’avere qualcuno ACCANTO nel fare un pezzo di cammino all’interno della propria vita.
Finché ce ne sarà bisogno.
Finché questa relazione sarà in grado di lenire e dare sollievo, risolvere, dare sicurezza, generare risorse, produrre energie buone e rinnovabili.
E poi, sempre insieme, decidere di salutarsi e proseguire da soli, pronti per nuovi incontrie nuovi compagni di viaggio.
Come terapeuti non ci candidiamo ad essere maestri di vita, né maghi, né genitori, né guide spirituali. Piuttosto, semplici e tenaci compagni di viaggio impegnati fin dal primo giorno con la prospettiva di non sostituirci, non indirizzare, non dare lezioni, non dispensare consigli o ricette, non rendere la persona dipendente da noi. Al contrario, fin dal primo giorno lavoriamo per stimolarla a trovare da sé la propria strada e nel più breve tempo possibile a poter fare a meno di noi.
Crediamo nei percorsi che hanno un termine. Un termine non da intendersi come fine, quanto come confine che segna.
Ogni storia è nuova, ogni persona è unica. Viviamo ogni seduta come fosse la prima.
La curiosità e l’interesse che ci animano ogni giorno come fosse il primo puntano a rendere giustizia della straordinaria unicità di chi abbiamo di fronte. l’inizio di un nuovo tratto di vita, una soglia da cui riprendere il proprio andare con rinnovata energia e ritrovate risorse.
5. La relazione ammala, la relazione cura
Crediamo che l’aspetto in assoluto più patogeno e allo stesso tempo benefico per qualunque essere umano sia la qualità delle relazioni che riesce a costruire: con se stesso, con gli altri, con i luoghi che abita, gli oggetti che ha intorno, le situazioni che vive. Parimenti, in terapia, è la relazione che cura e trasforma. Per questa ragione dedichiamo attenzione profonda allo stabilire una connessione potente e autentica con chi incontriamo, consapevoli che le chiavi del benessere sono negli “stessi luoghi” da cui sgorgano le nostre sofferenze e problematiche, e questo luogo sono le nostre relazioni.
6. Il setting come cornice che trasforma
In cosa si differenzia una seduta di psicoterapia da una chiacchierata al bar con un amico? La seduta di psicoterapia avviene all’interno di un setting chiaro, rigoroso, co-costruito con il paziente.
Il setting è cornice. Quel luogo sicuro, sia fisico che mentale, che protegge la relazione terapeutica. E all’interno di un setting chiaro, forte e co-costruito tutto può essere portato, espresso e contestualmente elaborato e trasformato.
Il setting è il patto che indirizza il lavoro terapeutico. Lo mette in sicurezza, lo caratterizza e lo distingue da altre forme di scambio relazionale. Patto cui concorrono diversi e precisi elementi che, soprattutto nell’arco delle prime sedute, vengono concordati dal terapeuta e dalla persona: obiettivi del percorso, regole di ingaggio (diritti e doveri sia del terapeuta che della persona), spazi, tempi e articolazione del percorso, valori e principi di riferimento.
7. Le persone come storie di cui avere cura, non (s)oggetti da curare
La psicoterapia non è ortopedia dell’anima, amputazione di parti difettose, tribunale in cui condannare aspetti di noi che non ci piacciono o hanno “fatto casini”, luogo correttivo, tana consolatoria in cui rimuovere o evitare gli aspetti dolorosi della vita. E’ al contrario uno spazio vasto e infinitamente inclusivo, in cui imparare a prendersi cura di ogni aspetto di sé, senza utilizzare categorie che dividono e riducono: giusto-sbagliato, negativo-positivo, pregio-difetto, buono-cattivo dando pieno asilo e accoglienza alla propria storia nella sua interezza, alla ricerca di nuovi significati che possano restituire pace e senso di unità. Le persone sono storie, cercano significati e senso, e nel momento in cui riescono a comprendere il significato della loro sofferenza e ad iscriverla dentro il proprio percorso di vita, possano trovare le risorse per uscirne e tornare libere.
8. Il soggetto come condividuo
Interpretiamo la psicoterapia come luogo in cui lavorare al proprio sé, OLTRE-passando il proprio ego.
Concepiamo la persona non come entità indivisibile (individuo). Anche se spesso come psicoterapeuti abbiamo di fronte un singolo, il focus del nostro agire non è l’individuo. Piuttosto, il soggetto con cui cerchiamo alleanza e lavoriamo è un soggetto plurale, capace di integrare la molteplicità di istanze da cui è abitato e di connettersi agli altri, alla società, al pianeta, al cosmo. Il benessere crediamo lo si trovi solo all’interno di una rinnovata ecologia del proprio esistere.
9. Visione olistica: la persona come galassia
Come una galassia ogni persona è un tutto interconnesso in cui le diverse parti sono intrecciate, si influenzano reciprocamente, in un costante scambio osmotico con tutto ciò che per questa ragione leggiamo e affrontiamo la sofferenza lavorando con altrettanta attenzione e cura su mente, cuore, corpo, pancia, relazioni. Tutto può diventare risorsa, strada verso il proprio benessere.
10. Co-costruzione e co-responsabilità
La psicoterapia è un cammino che si fa insieme e si disegna insieme, terapeuta e paziente, in un’alleanza che fin dal primo giorno si alimenta di reciprocità, dialogo, scambio, parità, co-responsabilità. Il terapeuta responsabile del setting, del metodo, delle tecniche, degli strumenti. La persona responsabile del proprio benessere e del proprio sviluppo. Il terapeuta impegnato primariamente a generare le condizioni perché ci possano essere cambiamento e trasformazione. La persona impegnata primariamente a partecipare attivamente a quelle condizioni per cambiare e trovare la propria strada.
11. La capacità negativa come chiave del processo trasformativo
La trasformazione segue spesso vie indecifrabili. Non è chiaro come ma ad un certo punto avviene. Sempre. Se c’è la volontà della persona di cambiare. Se la relazione con il terapeuta diventa luogo in cui coltivare capacità negativa e allenarsi a stare nell’indefinito del “non ancora”, del “non so”, del “non capisco”. Senza affrettarsi a trovare soluzioni. Senza cercare risposte, quanto buone domande. Senza chiedere ricette, quanto sperimentando soluzioni valide qui ed ora. Senza bendarsi gli occhi con teorie uniche che insegnino a vivere, quanto imparando a stare nelle proprie sofferenze e di fronte ai propri demoni. Senza analgesici, scorciatoie, trucchi, maestri che prescrivano cosa fare o che indichino La Via. Noi maestri non ci sentiamo né vogliamo esserlo, lavoriamo seguendo ipotesi, stimolati da un continuo dubitare, affamati di domande e connessioni che portino luce nelle ombre più scure e aprano possibilità nei vicoli più stretti delle storie che incontriamo.
12. Il senso del limite
Così come non crediamo nel terapeuta compagno di viaggio per tutta una vita, non crediamo nel terapeuta onnipotente. Alcune cose le conosciamo bene, di altre siamo esperti, di alcune siamo profondamente esperti. Studiamo e ci formiamo in continuazione, ma non ci occupiamo di tutto. E quando incontriamo storie rispetto alle quali riteniamo di non essere i professionisti più adeguati per occuparcene aiutiamo la persona a “trovare la sua via” con altri colleghi, a partire da quelli con cui siamo in rete e collaborazione.
13. Lo spazio terapeutico come radura
La stanza di psicoterapia genera una radura nella fitta selva della propria vita. Una radura in cui rifiatare, rigenerarsi, ritrovarsi, piangere e consolarsi, allenarsi, perdonare e perdonarsi, arrendersi, interrogarsi, riflettere, fermarsi, imparare a so-stare, riprogettarsi, guardarsi, ascoltarsi e qualunque altra cosa sia utile per stare bene. Questo luogo, una volta costruito, continuerà ad esistere anche se non si ha più bisogno di andarci, come una possibilità sempre presente nella propria vita.